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domenica 22 novembre 2015

Per la Rubrica: Calligrafia giapponese - I Kanji

Heiho: Principi di guerra e di pace
Kanji - Heiho
Heiho è Heiho” ridondante nella sua forma scritta in caratteri romani, il significato reale di Heiho emerge solo attraverso il kanji.
Hei può essere scritto nella sua eccezione di guerra con un kanji che pittograficamente mostra un ascia da guerra impugnata a due mani. Scritto con un altro carattere che si pronuncia nello stesso modo, Hei può anche denotare una “pacifica prosperità”.

La frase “Heiho è Heiho” può essere tradotta con “i principi delle discipline marziali sono identici a quelli delle arti della pace”.

Il carattere comune a entrambe le versioni di Heiho è Ho, la “legge”.
Per scrivere Ho il calligrafo traccia il radicale che rappresenta l’acqua, poi, vicino ad esso, un “contenitore”.

Il kanji coglie l’essenza stessa della parola, poiché il Giappone fu, durante l’era feudale, un paese di leggi rigide e restrittive. Dal più umile dei contadini all’aristocratico, il Giappone dei tempi antichi era sottoposto alla leggi in ogni singolo aspetto dell’esistenza.
In senso retorico, le rigidità della leggi che governava i Bushi così severamente dovevano renderli più partecipi della condizione delle altre classi.
La realtà, come è ovvio, era il Samurai tendeva a preoccuparsi solo di se stesso, come la maggior parte della gente in ogni epoca.
Eppure molti Samurai si presero realmente a cuore il benessere delle altre classi, molti esercitarono la loro influenza per la realizzazione di benefici comportamento di governo.

Inevitabilmente, questi Bugeisha applicarono i principi della disciplina marziale al governo: coraggio, integrità morale, rispetto per gli altri; poiché quei principi portavano a una maggiore capacità di individuare il tradimento, a essere pronti ad affrontare il pericolo, a una calma, spirituale durante le crisi.

L’esempio di questi guerrieri, dovrebbero essere d’ispirazione per i moderni Bugeisha.


Se quest’ultimi, durante l’allenamento, non riescono a vedere l’applicazione delle leggi della loro "Via" nella vita sociale, allora, il perfezionamento della "Via" sarà per loro privo del suo reale significato.

lunedì 9 novembre 2015

Per la Rubrica Chadō: Origine della cerimonia

 Le origini del Chadō
Il Cha no yu (acqua calda per il tè), conosciuto in Occidente anche come Cerimonia del tè, è un rito sociale e spirituale praticato in Giappone, indicato anche come Chadō o Sadō, ("Via del tè").

La Cerimonia si basa sulla concezione del wabi-cha. Questa cerimonia e pratica spirituale può essere svolta secondo stili diversi ed in forme diverse.
A seconda delle stagioni cambia la collocazione del bollitore (Kama): in autunno e inverno è posto in una buca di forma quadrata chiamata Ro (fornace), ricavata in uno dei tatami che formano il pavimento.
In primavera ed estate invece in un Furo (braciere) appoggiato sul tatami.

La forma più complessa e lunga è la Chaji consiste in un pasto in stile Kaiseki nel servizio di Koicha (tè denso) e in quello di Usucha (tè leggero). In tutti i casi si usa, in varie quantità, il matcha, tè verde polverizzato, che viene mescolato all'acqua calda con l'apposito Chasen (frullino di bambù). Quindi la bevanda che ne risulta non è un'infusione ma una sospensione: la polvere di tè viene cioè consumata insieme all'acqua. Per questo motivo e per il fatto che il Matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, la bevanda ha un effetto notevolmente eccitante. Infatti veniva e viene ancora utilizzata dai monaci zen per rimanere svegli durante il Zazen (pratiche meditative). Il tè leggero Usucha, a seguito dello sbattimento dell'acqua col frullino durante la preparazione, si ricopre di una sottile schiuma di una tonalità particolarmente piacevole e che si intona con i colori della tazza.

L'origine di una cerimonia formale che accompagnasse e regolasse il consumo del tè è sicuramente cinese, si può presumere che l'esigenza della formazione di un cerimoniale sia correlata alla notevole diffusione di questa bevanda nelle classi aristocratiche databile intorno al 758 d.C.


In Giappone, la pianta del tè, nel suo utilizzo matcha, fu importata dal monaco Tendai Eisai (1141-1215) della scuola Buddhista Rinzai, nel 1191, così che nel 1282 si tenne nel tempio Saidai-ji di Nara il primo ōchamori in cui venivano evidenziati gli aspetti spirituali della Cerimonia del tè.


Ma la pratica mondana del Tōcha, passatempo aristocratico prevalse presto in Giappone sull'ōchamori, e la decadenza spirituale della pratica del tè legata ai principi chán e zen seguì tutto il XIV e XV secolo.

Fu il monaco zen Rinzai Murata Shukō (1428-1502) a elaborare, sotto la guida del maestro Ikkuyu Sōjun (1394-1481) il cerimoniale del Chadō che si fondava sul principio di "leggere il Dharma del Buddha anche nella bevanda del tè", eliminando ogni ostentazione di ricchezza tipica della cerimonia del tōcha e riportando la cerimonia del tè in un ambito di semplicità e sobrietà.

Con la morte, nel 1502, di Murata Shukō, la pratica del Chadō ebbe un arresto di alcuni decenni, determinato anche dalle feroci guerre civili. Occorre aspettare un altro monaco zen, Takeno Jōō (1502-1555), allievo dei discepoli di Murata Shukō, Sochin e Sogo, perché lo sviluppo della Via del tè riprendesse. Takeno Jōō gettò le basi della concezione Wabi-cha, studiando con Sochin e Sogo sia la poesia Waka sia il Kōdō (la Via dell'incenso). Modificò il Cha no yu eliminando gli scaffali per gli utensili e disponendo questi ultimi direttamente sui Tatami e utilizzando solo legno grezzo per il Tokonoma. Takeno Jōō ideò anche l'usanza di porre il Ro (il focolare sopra il quale veniva poggiato il bollitore per l'acqua per il tè) direttamente nella stanza della cerimonia, ereditando questa usanza dalla cultura contadina.

Sen no Rikyu
Terzo grande maestro del tè fu un altro monaco zen, Sen no Rikyū (1522-1591), che a diciannove divenne diretto discepolo di Takeno Jōō, cui rimase vicino per i successivi quindici anni. Dal 1578 al 1582, Sen no Rikyū ricoprì l'incarico di funzionario dello Shōgun Oda Nobunaga e, dopo la morte,ricoprì lo stesso incarico per il suo successore, Toyotomi Hideyoshi.
Tra il nuovo Shōgun e il maestro del tè nacque subito un rapporto di rispetto reciproco, che consentì la diffusione di questa pratica nell'ambiente dei samurai e persino presso la Corte imperiale.

L'eredità della "casa" di Sen no Rikyū fu assegnata invece a suo genero, Shōan Sōjun (1546-1614) cui seguì il figlio Genpaku Sōtan (1578-1658). Fu Genpaku Sōtan a rivalutare l'ideale Wabi della Cerimonia del tè e il suo stretto legame con lo zen del tempio Daitoku-ji, fondando le basi del Cha no yu insegnato dalla famiglia Sen.
Genpaku Sōtan divise nel suo testamento i beni immobili fra tre dei suoi quattro figli, essendo il primogenito Sosetsu deceduto nel 1652. Il gruppo delle case principali della famiglia Sen fu diviso tra il terzogenito Koshin Sōsa (1613-1672), e il quartogenito Sensō Soshitsu (1622-1697). Al secondogenito, Ichiō Sōshu (1593-1675), che si era allontanato dalla famiglia per un certo periodo di tempo, fu assegnata una abitazione, denominata Kankyu-an . Da ciascuno di questi figli di Genpaku Sōtan ebbe origine una differente scuola di Cha no yu, che si affianca a quella che ha origine da Furuta Oribe (Oribe Ryū): da Koshin Sōsa ha origine la scuola Omotesenke, da Sensō Soshitsu ha origine la scuola Urasenke e da Ichiō Sōshu, la Mushanokōjisenke.

Tutte e tre le scuole sono a tutt'oggi esistenti.