Budo antico e moderno

Mokuso

Mokuso è un termine giapponese per la meditazione, soprattutto se praticato nelle arti marziali tradizionali giapponesi. Mokuso (pronunciato "moh-kso") viene eseguita prima d’iniziare una sessione di formazione al fine di "di una mente chiara", molto simile al concetto zen di mushin . Questo termine è più formalmente conosciuto a significare, "Riscaldamento in mente di duro allenamento."
Di norma quando si vuole fare qualcosa fatto bene è necessario predisporsi e concentrarsi sull’azione che si vuole fare. Questo non è immediato per chiunque, i pensieri si fanno strada ed emergono talvolta in modo fastidioso portando la nostra mente in viaggi lunghi e complessi. Nella pratica delle arti marziali giapponesi è stata introdotta la pratica del Mokuso che viene comunemente tradotta come meditazione e che letteralmente come Silenzioso/Fermo e Pensiero/Pensare. Insomma è quell’azione meditativa che va a portare la mente a tacitare pensieri non necessari (la mente vuota non esiste) in modo da dar spazio alla predisposizione e concentrazione necessaria alle arti marziali.
E’ il gesto di lasciare da parte tutto e riappropriarsi del proprio intimo che in questo caso è il nostro respiro e lo spazio della nostra mente che pare svuotarsi o meglio calmarsi.
Nella pratica delle arti marziali si può iniziare l’allenamento con un attimo di mokuso in seizan con le mani a pollici uniti, la schiena dritta il capo che spinge in alto e il mento leggermente abbassato con la lingua sul palato. Il respiro è diaframmatico e continuo e la concentrazione va o sulle punte dei pollici o nel punto al centro della fronte. la respirazione corretta è importante per diverse ragioni: l'ossigenazione del sangue, aiuta a rilasciare la tensione dei muscoli, ma ti dà un focus su cui concentrare che a sua volta aiuta a liberare la mente da estranei pensieri e le emozioni negative. Si dovrebbe respirare attraverso il naso costantemente, trattenere il respiro per un paio di secondi e poi espirare lentamente attraverso la bocca. L'intero ciclo dovrebbe prendere 10 - 15 secondi. I respiri dovrebbero essere profondo, riempiendo l'addome. Contando il respiro è un buon modo di mantenere la concentrazione sul compito.
Non c’è una durata particolare, ricordiamoci solo che ci vuole il tempo che ci vuole per preparare la mente e il corpo per la formazione, ma in dojo si ha poco tempo a disposizione, quindi è importante mantenere la concentrazione e non lasciare vagare la mente. Ricorda che non stanno cercando di svuotare la mente ma acquietarla dell’emozioni negative. Concentratevi sul vostro respiro e lasciate che i vostri muscoli si rilassano. Alcune persone trovano puntando uno sguardo morbido sul pavimento un paio di metri davanti a loro un modo utile per mantenere la concentrazione e non essere distratto da altre persone nel dojo. Altri preferiscono chiudere completamente gli occhi.
Allo stesso modo l’allenamento può finire con mokuso cercando di calmare la mente e non mettere da parte quello che si è imparato durante l’allenamento.

Dal tradizionale all'auto difesa

La arti marziali tradizionali definite così per la loro metodologia d’insegnamento sono state create in tempi e in società consone alle esigenze di quel tempo. Oggi rappresentano la base, l’ABC per la formazione di un atleta marziale poiché sono la naturale evoluzione di quelle forme di combattimento in quelle definite tuttora come moderne.
Se l’etica, la morale e concetti come quelli di vita e di morte sono mutati nel corso dei secoli, il corpo umano non è mutato, quindi gli stessi concetti utilizzati nelle arti marziali da diverse scuole oggi sono applicabili con gli accorgimenti del caso.
La vita all’interno del dojo ha la sua gerarchia, le sue regole e i suoi rituali, sono cose tutte necessarie per lo sviluppo personale atto ad imparare una disciplina marziale.
La difesa personale è un applicazione di quello che si studia all’interno del dojo, ma è una cosa ben diversa.
L’agonismo è utile per allenare i riflessi e concetti come la distanza e la scelta del tempo d’azione (dettata dalla posizione assunta dal corpo); in questo caso ci sono regole ancora diverse dalle due situazioni precedenti.
Imparare la tradizione è una tappa obbligata se si vuole imparare a difendersi.
Ci sono concetti come per esempio l’interpretazione della distanza tra due avversari che richiede tempo d’apprendimento, il concetto di distanza tra due avversari si basa sulla conoscenza degli spostamenti del corpo nello spazio.
Gestire il corpo, sentirlo, ma sopratutto saperlo gestire nello spazio sapendo come e quando muoverlo non è facile, richiede tempo, pazienza, costanza, curiosità e voglia di imparare.
Non è sbagliato quello che si fa se si sa dove collocarlo all’interno di un percorso formativo marziale. È sbagliato rincorrere facili traguardi ed illusioni fondati sull’io interiore.
Se non ci sono le basi non c’è sviluppo e rimane tutto immobile, soprattutto non si capisce il perché di una cosa o dell’altra.
La determinazione per il raggiungimento di una meta ci deve essere, comprendere un concetto (per esempio un immobilizzazione) è un altra cosa; la comprensione si ottiene solo se il corpo elabora e sviluppa un concetto adattandolo alle proprie potenzialità.
In sostanza a far chiacchiere non aiuta nessuno, il fare è l’unico modo per imparare.
Il domandarsi il perché aiuta a chiarire.
La curiosità è l’obbligo ma anche affidarsi all’insegnante è doveroso.
Ci sono più risposte alla stessa domanda perché in base al livello di comprensione raggiunto c’è una capacità di capire le cose in maniere diversa, è da qui che nasce il metodo d’apprendimento per gradi, atto proprio a formare un individuo nel tempo e in progressione. Dal tradizionale al moderno.
In Giappone l’apprendimento avviene per ripetizioni all’infinito, in occidente se non si capisce il perché di una cosa ci si blocca eppure nel caso nelle arti marziali, il corpo umano è questo da millenni.
Maturati i concetti, si danno ulteriori risposte, alla fine si hanno più applicazioni alla stessa situazione e al contesto in cui è inserito la cosa.
Alla fine del processo d’apprendimento si capisce che ognuno è il maestro del proprio stile, tutti sono differenti per insegnamento ma, tutti convergono sul modo che lo stile che diviene non stile.

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